Il nuovo Consiglio della Fondazione intende sviluppare gli indirizzi e le modalità avviate nel precedente biennio caratterizzato, in modo significativo, dalle difficoltà e dalle conseguenze della pandemia. Già allora si era intuito il cambiamento epocale e che, da quel momento, molte attività avrebbero potuto essere sviluppate in modo differente, dando l’opportunità di avviare ripensamenti fino a quel giorno ritenuti impossibili. Oggi la situazione parrebbe ancora più complicata e, alla grande energia connessa alla reazione dei due anni passati nella clausura, si contrappone la forte preoccupazione della guerra e degli enormi problemi a essa correlati.
Anche la nostra professione vive pienamente queste tensioni che, per certi versi sono simili ad alcune già vissute nel recente dopoguerra. Da una parte lo Stato, aiutato dalla Comunità Europea, decide di investire ingenti quantità di denaro nel mondo dell’edilizia mentre, allo stesso tempo, si scopre come quasi tutti gli attori coinvolti, pur auspicando da anni questo momento, siano assolutamente impreparati ad affrontarlo. I temi vanno dall’organizzazione, alle quantità di persone e addetti, alla burocrazia, alla disponibilità di materiali e attrezzature alla capacità di gestire, in tempi rapidi, procedimenti complessi.
Tutto questo mette in evidenza una dicotomia: da una parte potrebbe sembrare, perlomeno dal punto di vista del pensiero e della speculazione intellettuale, che ci troviamo davanti a un periodo potenzialmente rivoluzionario; dall’altra, sul piano del fare, sembrerebbe più opportuno lavorare nella logica della messa punto e miglioramento di modelli e procedure consolidati per muoversi su un terreno noto cercando di non perdere l’occasione e, specialmente, di contenere i danni.
Una parola sembra, nella sua molteplicità di sfaccettature, contenere queste diverse tensioni e sarà d’indirizzo alle prossime attività della Fondazione: manomissione. La parola ha tanti significati e, in architettura, è interessante constatare come siano quasi tutti pertinenti. Ecco il perché della scelta di intitolare Manomissioni, al plurale, il nuovo programma di FOA.GE. L’analisi di questi significati sarà la traccia su cui articolare e, allo stesso tempo, tenere insieme le attività che andremo a proporre.
Si può partire da quello figurato di disordinare o, meglio ancora, travisare. Quest’ultima azione, che sta alla base del nostro processo creativo, si manifesta nello sforzo di mettere insieme ragionamenti e saperi diversi innescando connessioni trasversali che si originano dalla messa in discussione di uno o più elementi nella logica del ragionamento. Allenarsi a vedere la realtà sempre da punti di vista diversi per trovare la soluzione corretta è il modo di attivare il processo creativo attraverso la contaminazione del sapere, attingendo energie dalla discussione ed elaborazione di conoscenze diverse dalla nostra disciplina. I nuovi strumenti permettono, anche agli architetti, di lavorare in gruppo anche a distanza, spesso abitando in città o addirittura nazioni diverse. Ciò consente un ampliamento enorme delle possibilità connesse all’ibridazione culturale, riuscendo a progettare tenendo insieme formazioni e ambiti sociali assai differenti, dando spazio a chi sta svolgendo ricerche in settori contigui e ampliando su elementi che stimolino l’avvio del progetto. Varie discipline approfittano di questa contaminazione, ad esempio nella scuola, dove il coinvolgimento già nelle prime fasi del progetto di soggetti quali pedagogisti o enti culturali che mettono in relazione nuove modalità di insegnamento con i riflessi positivi che lo spazio attiva sugli studenti, porta alla realizzazione di progetti complessi, articolati, funzionali e spazialmente innovativi.
Esiste anche il significato etimologico dal latino manumittĕre, ovvero «affrancare (uno schiavo), mandar(lo) libero (mittĕre) dalla potestà (manus) del padrone». Questa idea di liberazione fisica o mentale che contiene il termine mano come veicolo di sintesi del potere o dell’azione, potrebbe far riflettere sulla possibilità che abbiamo, oggi più che mai, di portare temi nuovi che consentano di porre in essere questa liberazione in termini di leggerezza e rapidità d’azione, piuttosto che di allargamento della competenza e capacità ragionamento, senza perdere di vista il ruolo dell’azione manuale che per noi si concretizza sia nel disegno che nella costruzione. Proprio il disegno come modo di ragionare e strumento di elaborazione e messa a punto delle idee è messo ogni giorno in crisi dall’evoluzione dei software a esso dedicati che, in modo sempre più sofisticato e facile all’uso, portano alla compressione dei tempi della rappresentazione lasciandoci, in teoria, assai più tempo per pensare. Potremo domandarci quale sarà il retroterra culturale di questo futuro architetto per cercare di capire, magari con attività da sviluppare insieme alla Facoltà di Architettura, come meglio indirizzare la crescita, non solo dei giovani architetti ma anche di chi sceglierà la nostra città per costruire la parte iniziale della propria formazione.
Esiste, infine, il significato di porre mano, avviare un processo che possa collegare, in modo significativo, la conoscenza empirica a quella razionale forse arrivando anche all’uso moderno della parola: aprire in modo indebito una cosa non propria, o comunque alterarla per soddisfare un’illecita curiosità. Portando un piccolo esempio vengono in mente le modalità con cui si progettavano le navi dalla seconda metà del Seicento: partendo dalla manipolazione del mezzo modello dove la forma dell’imbarcazione prende vita, contemporaneamente nell’immaginazione e nelle mani del progettista/costruttore, mediante la manipolazione di un piccolo oggetto in legno, che rende visibile lo scafo in poco tempo, in poco spazio e, specialmente, a colpo d’occhio. Questo modello che viene ogni volta regolato, sagomato, carteggiato e lucidato con piccoli attrezzi non è altro che l’evoluzione del modello precedente a cui si apportano piccole modifiche esercitando quella messa a punto, quasi istantanea ma che deriva dall’esperienza e dalla conoscenza rilevata sul modello reale che, in quella sicura azione della mano, si evolve e si trasforma ma, specialmente, prende corpo. Questo è quello che avviene anche nella nostra mente nel momento in cui si progetta e in cui la curiosità senza freni, magari anche illecita, cerca di fare i conti con tutto il nostro bagaglio di conoscenza per produrre un risultato concreto e formalmente compiuto. Una specie di avventura intellettuale in cui esplorare, campi differenti dal nostro, per il piacere di stimolare lo studio e la conoscenza che ci permettano di dominare, anche solo in minima parte, una nuova materia per poterla utilizzare come altro elemento su cui costruire la complessa sequenza del progetto.
La manomissione può rappresentare il momento del fare trasversale, del pensiero ibrido e del disegno consapevole per una solida normalità, per valorizzare quell’azione concreta che stimoli l’architetto ad assumere un ruolo politico, sociale e tecnico nel miglioramento della vita dell’uomo e degli altri esseri viventi attraverso la sua competenza di comprendere la città e il paesaggio.
La manomissione agisce sul significato, sulla sua più o meno consapevole trasformazione, sino allo svuotamento di senso. Come detto è un termine ambivalente che contiene in sé valenze apparentemente contrapposte: alterazione, violazione, danneggiamento versus liberazione, riscatto, emancipazione. La trasposizione concettuale richiama una frattura interna che, se interpretata virtuosamente, può innescare un processo di rigenerazione, di restituzione di senso, di consistenza e di trasformazione identitaria.
Fare a pezzi e rimontare, liberando l’azione da vincoli di convenzioni, ma non dalla costruzione di significati nella continua mutazione dei contesti e contingenze specifiche.
La manomissione assume così una valenza etica e politica come antidoto contro usi impropri che consumano la realtà, per una restituzione di dignità vitale; esercita un potere di trasformazione quale strumento di cambiamento e apre la strada ad una nuova comprensione esperienziale.
Questo momento storico sembra porre in essere continuamente come stato di necessità lo schieramento su due fronti contrapposti. L’orizzonte di riferimento delle iniziative che andiamo a proporre sotto l’egida della “manomissione” vuole essere concepito come superamento e trasformazione della dualità, della contrapposizione attraverso la trasformazione costruttiva di significati nuovi e diversi.
In questo senso la forma del confronto, nell’ambito dei diversi temi che sono stati individuati come traccia della nostra prossima attività, può divenire strumento trasversale di lettura e messa in campo delle problematiche con l’obiettivo del superamento e della trasformazione della bipolarità attraverso lo scambio e la contaminazione.
Una riflessione sui formati degli eventi culturali è senza dubbio necessaria, dopo questi due anni. Il Consiglio di Fondazione desidera fare questa riflessione insieme alle altre istituzioni culturali della città, considerando la modalità del fare rete sempre più imprescindibile e grande occasione di arricchimento. Dal network potranno nascere occasioni in luoghi inediti o formati nuovi.
Dalla formula della doppia o plurima intervista o/e talk-show, alle pillole tematiche con montaggi a più voci o podcast a puntate su singoli argomenti, alle conferenze e al festival di più giorni.
Il Consiglio della Fondazione Architetti Genova